Komorebi: quella luce che emana dalle cose semplici

Komorebi è un richiamo che compare nei titoli di coda dell’ultimo film di Wim Wenders. Perfect Days. Una sorta di chiave di lettura retrospettiva offerta agli spettatori dal regista.

È una parola giapponese, composta dai caratteri albero (木), splendore (漏れ) e sole (日), che indica proprio quell’effetto di luce che filtra tra gli alberi, che il protagonista del film coglie ogni giorno.

Komorebi ci invita a cercare sempre la luce alla fine del tunnel, prendendoci il tempo per osservare ciò che di bello c’è nella vita intorno a noi.

Komorebi esprime, nella cultura giapponese, l’invito a vedere sempre la luce in fondo al tunnel. Una parola che ci ricorda l’importanza di cercare la positività nelle piccole cose e di far filtrare la luce della consapevolezza per dissipare le ombre del dubbio e delle difficoltà.

Komorebi riguarda infatti il trovare nelle semplici cose quei piccoli raggi di luce necessari per ricaricarsi, prendendoci il tempo per osservare ciò che di bello ed inaspettato illumina la nostra quotidianità.

Sensazioni che scandiscono il film che parla della bellezza della vita di tutti i giorni.  E che prende il nome dalla canzone di Lou Reed <Perfect Days> il cui verso finale illumina il film stesso: <You’re going to reap just what you sow>, raccoglierai ciò che hai seminato.

Perfect Days racconta infatti le ‘giornate di semina’ di Hirayama, un uomo che all’apparenza non sembra avere niente di speciale, ma che dentro al suo cuore cerca ogni giorno, fin dal suo risveglio la mattina, a quando va a dormire la sera, di conservare tutta la bellezza della sua preziosa quotidianità.

Hirayama conduce un’esistenza all’apparenza fatta di nulla, essenziale e <ripetitiva>. Ma è proprio nei dettagli (e nella capacità di regia di Wenders) l’evidenza di una differenza tra ripetitività e rituale. Hyrayama segue un suo personale rituale, dalla sveglia al comparire delle prime luci, al taglio dei baffi, alla cura rivolta alle sue piante (il primo pensiero al mattino), alla tavola calda per chiudere la giornata con un sorriso.

E l’essenzialità emerge anche nel silenzio empatico di Hirayama. Dalla sua vita scandita da poche, ma preziose per lui, cose e reiterata di giorno in giorno con meticolosità, e che però sprigiona pian piano che scorre sullo schermo un forte senso di pienezza e serenità.

La differenza tra ripetitività e rituale emerge anche nelle foto con cui Hirayama fissa il suo quotidiano Komorebi nelle fotografie che poi cataloga in una sorta di agenda quotidiana. Le giornate anche se apparentemente seguono un copione simile, sono diverse una dall’altra, come diversa è ogni giorno la luce che filtra tra le fronde arboree. E che Hirayama cattura con la sua polaroid.

La differenza nella vita di Hirayama la fanno le ‘novità’ che intervengono a dare ritmo alle sue giornate: dal bambino che ha smarrito la mamma, al senzatetto che abbraccia gli alberi, alla partita a zero-per giocata ‘attraverso la fessura’ del muro, Sensazioni di ‘pienezza’ che si possono cogliere solo avendo verso la vita uno sguardo di dolcezza, e l’animo disponibile all’ascolto.

Hirayama ha fatto una scelta di vita, mettendosi alle spalle un passato doloroso. Ha scelto di centrare la sua vita nell’oggi, nella pienezza dell’attimo, nel raggio di sole che passa tra le foglie degli alberi, nel lasciare andare i suoi pensieri sdraiato sul tatami, nei gesti di quotidiana gentilezza che scandiscono le sue giornate e danno ad ognuna di loro una diversa sfumatura di colore.

<Less is more>, il meno è di più. Questo è il mondo felice di Hirayama.

Nella cultura giapponese, c’è una parola, Wabi Sabi (https://cleolicalzi.it/2020/11/18/wabi-sabi/), che rappresenta proprio questo concetto. E’ il concetto di <essenziale invisibile agli occhi> a cui ci riporta il Piccolo principe, quel necessario a cui volgiamo lo sguardo dell’anima e lo facciamo diventare essenza e motore delle nostre scelte.

Stare nell’essenzialità è stare nella condizione del presente occupandosi pienamente delle cose che facciamo.

Adesso è adesso. Un’altra volta è un’altra volta.” ripete Hirayama alla propria nipote che chiede di andare a vedere il mare. L’invito a vivere pienamente l’oggi, senza riempire l’agenda di propositi futuri, mentre ci si perde il presente e le sue occasioni.

Vivere nel presente significa decidere di vivere il proprio tempo con lentezza e profondità, per far sì che le cose abbiano lo spazio per svelare la loro bellezza.

Significa scegliere di essere generosi con sé stessi, scegliere di ‘gustarsi’ il tempo, prendendo confidenza con le proprie emozioni per scoprire dettagli e prospettive che ci eravamo persi. Quelle foglie che danzando spinte dal vento disegnano il nostro Komorebi.

E’ stare nel qui e ora, approfondire e trovare in ogni momento la condizione migliore per vivere quel momento. Ed Hirayama trova proprio nel <rituale> della sua giornata e nella luce che si riflette tra le ombre delle foglie il suo rituale di felicità, la sua luce in fondo al tunnel.

Il compimento di quella <scelta> fatta: essere, comunque vada, felici.

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