Il mediano, per chi è esperto di calcio, rappresenta un ruolo determinante sul campo. Il mediano agisce infatti a ridosso della retroguardia, collaborando nel recuperare palloni e nell’innescare la ripartenza. E’ colui che finalizza il gioco.
Ad essere sfidata dall’onda del Recovery Fund per costruire la ripresa del paese è infatti non solo la politica ma la società civile e soprattutto i suoi corpi intermedi.
Il terzo settore è chiamato infatti, mai come ora, a dare il suo contributo lavorando non solo per posizionarsi all’interno delle linee guida che declinano le diverse missioni, ma agendo per dare contenuto a queste ultime e a incrementarne l’impatto.
Un ruolo che richiede competenza e focus sul risultato e una grande disponibilità al cambiamento. Non è più ammissibile leggere il valore sociale delle proposte solo attraverso il rincorrersi di parole come terzo settore, economia sociale e non profit.
Il terzo pilastro dell’Economia è ben altro (e lo sa bene la Francia che nel suo piano lo ha posto al centro del programma).
Il primo a crescere deve essere il sistema del terzo settore ed il sistema intermedio chiamato oggi ad essere protagonista del cambiamento. Ad invertire il paradigma culturale che ha frenato l’Italia sinora.
Il compito a cui è chiamato è di estrema importanza: superare le rendite di posizione volte più a vincolare più che ad investire le risorse. Un passaggio, non di poco conto, da “cosa c’è per me” a “che ruolo concreto devo assumere nel processo di crescita“.
E questo, piaccia o no, è il vero piano di cambiamento perché il Recovery Fund permetta la crescita auspicata e necessaria. Perché il Recovery Fund sia un’opportunità concreta per l’Italia. E costruisca futuro.
E’ necessario rimettere mano alla funzione di intermediazione sociale che coinvolge le organizzazioni della rappresentanza sociale ed economica e le strutture della conoscenza (centri di ricerca, think tank, ecc.) affinché contribuiscano efficacemente alle riforme. Contribuire a questa nuova stagione di politiche allora richiede di mettere insieme visione alta, capacità di elaborazione progettuale e capacità operativa.
In termini di produzione e redistribuzione di risorse attraverso beni, servizi, trasferimenti economici. Senza questo equilibrio il rischio è di trasformarsi in esteti del policy making con poca o nulla capacità di incidere sulle trasformazioni economiche necessarie a riprenderci da una crisi profonda che ha determinato in pochi mesi il crollo a doppia cifra del PIL.
Se l’obiettivo del Paese è quindi “fare il salto di qualità”, occorre allora far convergere visione ed operatività, riforme e capacità progettuale, procedendo in modo armonico e strutturato. Bisogna agire in primis sui processi partecipativi al fine di renderli effettivi, di ‘trasformarli’ rendendoli efficaci e realizzativi e capaci di un concreto impatto.
Si chiuda con la stagione dei tavoli di lavori, e si apra la stagione della concretezza realizzando buon pratiche di progettazione integrata e tracciando direttrici di futuro per la prossima generazione.
[articolo andato in pubblicazione su Euractiv.it il 7 ottobre 2020]