<Mi rendo conto che quando si introduce un cambiamento non ci si può aspettare un consenso unanime…Condivido che i diritti di tutti, a prescindere dalla categoria sociale di appartenenza, costituiscono la base di una comunità civile. Ma oggi viviamo in un’epoca in cui si parla sempre e solo di diritti. Il diritto al posto fisso, al salario garantito, al lavoro sotto casa; il diritto a urlare e a sfilare; il diritto a pretendere. Lasciatemi dire che i diritti sono sacrosanti e vanno tutelati. Se però continuiamo a vivere di soli diritti, di diritti moriremo. Perché questa “evoluzione della specie” crea una generazione molto più debole di quella precedente, senza il coraggio di lottare, ma con la speranza che qualcun altro faccia qualcosa. Una specie di attendismo che è perverso ed è involutivo. Per questo credo che dobbiamo tornare a un sano senso del dovere, consapevoli che per avere bisogna anche dare. Bisogna riscoprire il senso e la dignità dell’impegno, il valore del contributo che ognuno può dare al processo di costruzione, dell’oggi e soprattutto del domani.>
Per avere, bisogna anche dare. Con queste parole, Marchionne spiegava lo sguardo generoso e visionario che deve avere la leadership. Assumendosi la responsabilità del risultato. Anche quando la corrente del consenso va in direzione contraria.
Agire, senza delegare ad altri la responsabilità del risultato. La leadership si assume la responsabilità non solo di portare avanti i piani, ma soprattutto quello di innestare il cambiamento culturale verso la realizzazione di un bene collettivo, più ampio e più lungimirante del solo bene personale e persino aziendale.
Così deve essere l’agire della leadership generativa, che deve sempre rendere possibile coniugare le logiche di risultato con la crescita delle persone, partendo dalla considerazione che il ‘potere’ nel senso generativo non è altro che la capacità di influenzare positivamente gli altri a crescere e sapere guidarli attraverso il cambiamento.
Il rapporto tra diritti e doveri è ben chiaro alla leadership generativa, così come è ben chiaro il rapporto di equilibrio che li lega: per conquistare uno spazio, un diritto, bisogna anche dare. Ad ogni conquista di un diritto, equivale in modo sincrono lo spazio dell’impegno e del dovere. Il valore dell’impegno e della coerenza, che sono alla base della mentalità di successo, in quella parte che esprime tutto quello che è sotto l’iceberg del successo della leadership come viene ‘percepita’ esternamente.
Ed in questo equilibrio tra diritti e doveri, la leadership deve dimostrarsi in grado di trasformare il gruppo in una squadra.
La leadership generativa allinea infatti il gruppo, i suoi membri e il suo leader. Un gruppo per essere una squadra ha bisogno di un significato in cui si riconosce, ha bisogno di una sfida che valga la pena di essere affrontata. Marchionne ripeteva spesso alla sua organizzazione <Siamo qui e lo facciamo perché abbiamo una missione>.
Il gruppo per essere squadra non deve avere una struttura piramidale con cariche definite; ognuno deve invece essere valorizzato in base a ciò a cui è chiamato.
Una squadra non è una democrazia, ma una comunità basata sul merito e la passione condivisa. Ciò che qualifica la squadra è il legame di visione che si viene a creare tra la leadership ed i suoi membri. Legame che non può essere solo quello formale ma è soprattutto quello di costruzione e tenuta del significato. Il gruppo diventa squadra se la leadership è capace di fare sentire ognuno parte della missione. Solo se lavora sulla motivazione ancor più che sull’affermazione.
Solo quando la leadership avrà costruito il senso di squadra, la bilancia tra diritti e doveri può essere messa da parte, perché la guida prenderà forma nella parola <insieme>. E la visione potrà trasformarsi in azione.