La democrazia paritaria conviene a tutti

Oggi le donne sono il 39% della forza lavoro su base nazionale, il 33% se guardiamo al dato meridionale. Con un gender pay gap, ovvero differenza nelle retribuzioni salariali a parità di incarico tra uomo e donna, pari al 37%. Una differenza che diventa abissale se si guarda alla dirigenza di alta impresa dove le dirigenti donne sono retribuite l’8,5% dei colleghi uomini.

Le donne non sono quindi solo poco rappresentate, ma sono anche peggio pagate.

L’avanzamento delle donne nelle posizioni apicali dipende spesso dai modelli organizzativi pensati dagli uomini, disegnati prevedendo la presenza e la disponibilità h24, in modalità inconciliabile con la necessità di cura familiare attribuita (anche in questo caso in modo distorto) alla donna.

E così le donne hanno maggiore probabilità di affermarsi in quelle realtà che hanno ripensato la struttura del lavoro, introducendo i paradigmi lavorativi innovativi resi possibili dalla transizione digitale e dall’affermarsi di una flessibilizzazione degli orari di lavoro, a fronte piuttosto della massimizzazione dei risultati.

Una trasformazione organizzativa già prevista dal legislatore anche ante pandemia ma rimasta sulla carta proprio perché destabilizzante dell’equilibrio di poteri: come poteva essere attuata da leadership resilienti per fare spazio a leadership innovative ?

Ma non basta riorganizzare il lavoro per avere un maggior numero di donne qualificate nelle posizioni apicali, se non si agisce a scardinare il paradigma lavorativo che è alla base della disparità di carriere.

E’ un passaggio a cui non possiamo più rinunciare se davvero vogliamo realizzare quella <next generation> su cui ci siamo impegnati con l’Europa. Ed alla quale stiamo legando tutte le nostre aspettative di ripresa.

Non può esserci alcuna transizione, né digitale né ambientale, se non sapremo prima mettere in modo quel capitale ‘dormiente’ che è la metà della potenziale forza lavoro, ma che è soprattutto la leva attraverso la quale scardinare lo status quo per realizzare quell’innovazione di modello necessaria a superare la crisi economica affermando un nuovo modello di società economica adeguato ai tempi.

Eliminare gli ostacoli per una maggiore partecipazione delle donne alla vita economica del Paese non ha valore solo di equità sociale e di affermazione di un diritto costituzionale, ma ha una convenienza economica.

Liberare il capitale inespresso delle donne produce effetti su tutti gli indici di crescita delle società e di sviluppo economico.

La mancata partecipazione paritaria nel mondo del lavoro comporta allora il non utilizzare una significativa leva di crescita dell’economia nazionale, con dirette conseguenze sulla produttività del Paese, soprattutto in questo momento di recessione.

La democrazia (paritaria) quindi conviene, a tutti.

Ma perché si realizzi, è necessario un cambiamento culturale profondo, che deve prima di tutto essere veramente voluto, anche dalle donne. Il tema non è infatti la vocale finale messa alla fine di una parola che indica una carica, ma il significato e l’accelerazione che attraverso quella carica si può imprimere al cambiamento.

Il sistema binario di leadership, con la distinzione tra il ‘take care femminile (prendersi cura) e il ‘take charge maschile (prendere il controllo), non è più valido. E’ uno stereotipo insidioso, di cui le donne devono liberarsi. Le donne devono piuttosto muoversi verso uno stile più autorevole e più competitivo, valorizzando anche le competenze che sono loro più congenite come la capacità organizzativa, la mediazione e l’intelligenza emotiva che sono chiavi importanti per sviluppare leadership generative che includano e propagano alla società le conquiste, che non devono rimanere ‘di una parte’ ma diventare patrimonio evolutivo della società. Non può certo essere la singola donna a cambiare il paradigma culturale; serve invece che le leadership donne siano generative di nuove leadership.

E’ davvero giunto il tempo di ripensare il modello di leadership e di empowerment femminile con meno idealismo e maggiore pragmatismo. Volendo concretamente attuarla e non solo chiedere che venga attuata. La democrazia non può avere una parte ‘che chiede’ ed una parte ‘che concede’: perché se è così non è democrazia.

I diritti si affermano: non si deve richiedere spazio, non bisogna accontentarsi di ‘concessioni’, di mere dichiarazioni di intenti. Bisogna lavorare invece per un concreto empowerment femminile che affermi la democrazia.

Senza aggettivi, perché la democrazia è paritaria, altrimenti non è.

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