L’esigenza di frantumare il ‘soffitto di cristallo’ si fa sempre più pressante. E non basta una donna leader, serve una democrazia paritaria compiuta.
Questo periodo di grandi mutamenti ha accelerato molti processi di cambiamento che se non ben affrontate contribuiranno però ad aumentare il divario tra i generi. I processi di transizione ecologica e digitale richiedono il mutamento rapido anche dei paradigmi di leadership.
Eppure non solo il soffitto resiste, ma adesso è il pavimento che scricchiola.
Malgrado i tanti proclami e gli slogan sbandierati quando servono, se pronunciamo la parola “leader”, si proietta ancora una silhouette sempre maschile.
Nessuno <investe> davvero su leadership femminili. Consentitemi di dire una cosa scomoda: spesso nemmeno le donne.
Le donne quando riescono ad affermarsi restano comunque ‘schiacciate’ e non riconosciute dallo stesso sistema di genere che dovrebbe compattarsi ed invece finisce per fare il gioco inverso. Perché, se all’uomo è concesso tutto, anche di non essere adeguato al ruolo, sulla donna pesa il fardello di dover essere l’eccellenza. E come tutte le eccellenze di essere portata in processione ma mai messa veramente sulla plancia di comando.
La donna al vertice non è mai una Persona, ma sempre un aggettivo. E l’aggettivo non è quasi mai lusinghiero. E’ invece la narrazione di stereotipi difficili da scardinare.
Anche i paradigmi di leadership femminile che la storia ci consegna sono intrisi di pregiudizi e di errori di prospettiva. La Thatcher e la Merkel definite ad esempio ‘lady di ferro, proprio a rimarcare l’assimilazione all’universo maschile. Come dire che una Donna può essere riconosciuta Leader solo se assimilata all’uomo per stile di leadership.
Ed invece la leadership femminile dovrebbe essere leadership in quanto tale, dotata cioè di quella capacità ‘al femminile’ necessaria per incidere nelle scelte e imprimere una direzione innovativa. Che affermi il valore della democrazia paritaria.
E quando non è un aggettivo, il pregiudizio assume la forma di un nome proprio, mai di un cognome. E così abbiamo Khamala, Ursula, Angela da una parte, e Biden, Macron, Draghi dall’altra. Dove con il cognome si esprime l’autorevolezza, e con il nome invece la confidenza di una persona che accogliamo benevolmente in casa ma a cui non riconosciamo spazi di potere.
E non basta essere donna a capo di un governo per affermare che il soffitto è rotto se poi non si innesta quel cambiamento che permette a tutte le donne di avere parità di diritti.
Parlando di leadership e di sviluppo di carriera, le donne hanno a che fare con due tipi di segregazioni.
La prima è di tipo orizzontale, ed è quella che esclude le donne da alcuni settori che sono poi quelli che hanno maggiori caratteristiche di crescita, distinguendo anche lessicalmente i lavori ‘per donne’ dalle professioni ‘per uomini’. E’ un tema che va affrontato agendo culturalmente ma soprattutto incidendo nei sistemi formativi primari, perché è li che si indirizzano le inclinazioni che poi determinano gli studi che segnano la strada alla definizione degli ambiti lavorativi.
Più insidiosa ancora è però la segregazione verticale. Il percorso delle donne lungo la scala della carriera e dell’affermazione personale è irta di trappole. Già al primo gradino, le donne devono vedersela con quelli che in leadership management sono definiti sticky floor, ‘i pavimenti appiccicosi’, ovvero quelle situazioni di partenza che si prolungano senza evoluzioni (una donna che entra in uno studio come assistente e tale rimane invece di evolvere nello stesso tempo alla qualità di socio come per l’omologo collega; e lo stesso gap blocca ad esempio le carriere di ordinario alle donne nel contesto universitario).
Ci sono poi quelli che vengono chiamati leaky pipeline, ovvero ‘i tubi che perdono’, metafora che allude alle occasioni di carriera perse o addirittura all’abbandono della professione nell’impossibilità di conciliarla con la maternità.
E salendo ancora la donna si scontra con il glass ceiling, con quel soffitto di cristallo che impedisce l’accesso al ruolo apicale. In condizioni ottimali. Salvo poi ricorrere alla donna nel caso di glas cliff, ovvero di quella che viene definita la scogliera di cristallo, la carica ‘scomoda’ da assegnare nelle situazioni spinose ed a forte rischio, o laddove un evento non controllabile può compromettere un intero percorso.