Adam Grant in un articolo pubblicato sul New York Times ha coniato un termine nuovo: illanguidimento (languishing). Con questo neologismo Grant ha voluto sottolineare l’emozione dominante che sta caratterizzando questi tempi e che certamente ha a che fare con una comprensione non corretta del concetto di resilienza dinamica https://cleolicalzi.it/2021/10/13/3334/.
Grant indica con il termine coniato quel senso di malessere e di fatica che caratterizza chi davanti agli ostacoli ‘butta la spugna’ e ricerca negli altri le colpe, invece di rimboccarsi le maniche e dalla crisi costruire un’opportunità di cambiamento necessario e generativo.
Un pò come guardare la propria vita attraverso un parabrezza appannato: riduce la visibilità e impedisce di puntare avanti. Una condizione che ci rimanda in una condizione di incertezza che si colloca a metà tra le vette dell’entusiasmo e dell’impegno che sono il carburante di ogni intrapresa e le voragini invece tipiche dell’abbandono delle sfide. Che spegne la nostra motivazione.
E’ il fenomeno che viene definito della ‘grande rinuncia’. Le persone, semplicemente, ripensano alle loro carriere, alle loro condizioni di lavoro, agli obiettivi a lungo termine. Si fermano, tirano i remi in barca, e riformulano il percorso, con l’intenzione di andare alla ricerca di nuovi equilibri che intercettino prospettive più autentiche.
La ‘grande rinuncia’ nasce dalla combinazione di due bias , cioè di due distorsioni cognitive che incidono sulle nostre decisioni rompendo improvvisamente dis-equilibri che avevamo imparato a tenere a bada (https://cleolicalzi.it/2021/04/16/il-vulcano-in-eruzione-che-e-dentro-di-noi/).
Il primo è il bias dei cosiddetti ‘sunk cost’, i costi irrecuperabili, che si basa su quell’idea che, poiché si è già sostenuto un costo per ottenere qualcosa (non necessariamente in denaro, ma anche in tempo, emozioni, relazioni di lavoro), quel qualcosa vada preservato anche se non va più bene. Questo bias ci fa fermare nella apparente comfort zone anche quando questa è diventata limitativa, se non nociva (https://cleolicalzi.it/2020/08/15/barra-dritta/).
Sarebbe invece molto meglio resistere a questa errata percezione, non lasciarsi abbandonare come la rana nel pentolone (https://cleolicalzi.it/2021/07/09/la-rana-consapevole/) ed immettersi invece in una nuova prospettiva, capace di farci generare ancora valore.
Il secondo è il bias del ‘costo opportunità’. La percezione del fatto che qualsiasi scelta attuata implica sempre e in ogni caso anche un costo, corrispondente al valore che potrebbe essere conseguito compiendo una scelta alternativa. Questo bias fa sì che invece di vedere la scelta che facciamo, ci pone l’attenzione su tutte le alternative che lasciamo andare. Qualsiasi scelta diventa così la rinuncia a qualcos’altro. La prospettiva è inversa: anziché guardare avanti e lasciare il porto, lanciamo funi per rimanere ormeggiati.
L’illanguidimento nasce allora quando non gestiamo questi due bias, ovvero quando non ci mettiamo nella prospettiva del cambiamento generativo e perseguiamo nella nella direzione delle cose che contano davvero.
Vi sono due indicazioni utili per contrastare l’illanguidimento. Il primo riguarda il provare a immergersi nel ‘flusso’, cioè in quella speciale condizione di totale attenzione che è tipica del lavoro creativo. Dando proprio alla creatività il valore di forza trasformativa.
Il secondo stimolo riguarda invece la capacità di scegliere attività sfidanti ma non impossibili e procedere ‘un passo alla volta’. Ed accettare che nei percorsi possano sorgere ostacoli (https://cleolicalzi.it/2021/05/20/il-nemico-che-ce-in-noi/).
Ed imparare ad accettarli questi ostacoli. Fermarsi e – come fa google maps – <ricalcolare il percorso> (https://cleolicalzi.it/2021/04/08/lavori-in-corso/).
La cosa più coraggiosa che si può fare è talvolta esattamente questa: fermarsi e ripartire. Rimettere in discussione tutte quelle scelte lavorative che diciamo fintamente di amare ma che non corrispondono più alla nostra autenticità o che hanno esaurito il loro ciclo creativo.
Impariamo allora a non lasciare la guida dei nostri percorsi all’automatismo dipendente dalle abitudini o dal timore di affrontare l’incertezza e la dose di rischio che sono fatalmente connesse con il cambiamento. E spicchiamo il volo.
“Ci proviamo tutti a spiccare il volo, per poi la sera ripararci sotto le pergole dei nostri piccoli gesti quotidiani. Essere abitudinari non è così da sfigati. I bambini sono abitudinari. E i cani. Il meglio che c’è in giro”.