“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”
E’ la consapevolezza che salva la rana. Il <sentire> le cose.
La consapevolezza infatti ci scuote, ci risveglia, ci mette in moto. Ci offre la possibilità di misurarci davvero con la nostra forza interiore.
Il tepore del pentolone della rana che plasticamente ci ha disegnato il filosofo Naom Chosky in “Media e Potere” – sono le nostre abitudini rassicuranti. Quella ‘gabbia’ di certezze che ci costruiamo attorno, per sottrarci alla responsabilità di scegliere. Nel lavoro, sono le trappole delle ‘prassi”, quel “si è sempre fatto sempre così” che rende impossibile generare l’innovazione.
Il tepore dell’acqua è quella insicura comfort zone da cui nascono tutti gli ostacoli e le resistenze al cambiamento. Non è facile liberarci dalle abitudini e della apparente tranquillità che ci prospetta la comfort zone che ci siamo costruiti introno a noi. Ma le crisi – i 50° dell’acqua che fanno re-agire la rana – giungono proprio per aiutarci in questo. Per farci perdere l’equilibrio.
E’ infatti nella apparente perdita di equilibrio in cui ci proiettano fatti improvvisi che percepiamo ‘la differenza tra la lieve brezza della comfort zone ed il vento del cambiamento’.
Solo ‘perdendo l’equilibrio’ diamo la possibilità di entrare in scena all’inventiva, quel guizzo di creatività che ci allarga l’orizzonte e ci fa intravedere un altro scenario.
É quando intervengono fatti ‘straordinari’ che ci fanno perdere l’equilibrio – come per molti è stata la crisi pandemica – che ci ‘permettiamo’ di aprire le nostre finestre e fare entrare una ventata di aria nuova.
La perdita di equilibrio ci invita a fare spazio, a tagliare i rami ormai secchi, spinge a lasciar andare ciò che non genera più valore. Ed è questo il passo fondamentale che precede ogni cambiamento.
Ciò che siamo chiamati a fare dinnanzi ad una crisi e al conseguente disorientamento è costruire consapevolezza. Fermarsi, guardarsi dentro e scorgere dentro di noi l’occasione per costruire il cambiamento generativo.
Per generare valore dal cambiamento, dobbiamo prima imparare ad essere flessibili, non chiusi in schemi rigidi e poco adattivi a recepire i cambiamenti. Essere invece ‘agili’, pronti a svuotarci e farci riempire di nuove certezze. Agili nel mollare la presa delle nostre convinzioni, dei nostri bias cognitivi e lasciare che in noi agisca la forza creativa della crisi.
La crisi è un momento indispensabile alla costruzione di un nuovo equilibro. Non è distruzione: è solo l’inizio di una nuova costruzione. Che può avvenire solo grazie ad una forza primordiale e generatrice, che è la consapevolezza.
Nella frantumazione delle nostre certezze e nella confusione che ogni crisi porta con sé possiamo infatti ‘re-agire’ in due modi: possiamo subire le nostre paure e soccombere agli eventi; oppure possiamo decidere di generare valore dall’entropia che gli eventi scatenano in noi e trasformare la crisi in energia creativa.
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