Dare un senso

<L’uomo è ugualmente incapace di scorgere il nulla da cui è tratto e l’infinito da cui è inghiottito>.

Blaise Pascal ci indica una chiave di lettura del perché <ci raccontiamo storie>: per tentare di trovare un equilibrio tra il nulla e l’infinito. O forse, più semplicemente per dare una direzione al nostro andare. Per dare un senso alle nostre scelte.

Dare un senso” vuol dire infatti riempire di contenuto una storia, dare vita ad una trama, definendone protagonisti e comprimari, una sequenza di eventi, svolte e colpi di scena.

Ed allora è il modo in cui ci raccontiamo storie che cambia la prospettiva con cui affrontiamo le cose. Quel vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, invece che fermarsi a bere, cambia la scena della storia. E soprattutto cambia il finale.

Questo processo di costruzione di senso attraverso le storie che raccontiamo a noi stessi e agli altri, risponde ad uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano: la ricerca di un <perché>.

Lo psicologo sociale Roy Baumeister ha identificato i quattro bisogni fondamentali che il racconto di una esistenza deve possedere per produrre una visione significativa e compiuta.

Il primo bisogno di ogni storia è secondo Baumeister quello della “finalità”. Abbiamo bisogno di avere la sensazione che tutti gli eventi, le decisioni e gli accadimenti della nostra vita siano tra loro collegabili per un fine ed uno scopo ben preciso. Il racconto della nostra esistenza deve soddisfare questo bisogno profondo. I nostri ideali, le nostre passioni, i nostri talenti, i nostri progetti, ma anche le svolte dolorose ed i fallimenti devono poter essere inseriti in una catena di causa/effetto per poter superare l’idea di caos e permetterci di definire un senso alle cose.

Ma la finalità da sola non ci basta. Abbiamo bisogno di sentirci “sentirci nel giusto”. Bisogno di costruire una trama che ci permetta di inserire gli eventi della nostra vita in una sorta di codice morale personale. Tutto quello che ci è accaduto deve essere conforme con i nostri valori più profondi e radicati. Abbiamo bisogno di poter giustificare ciò che ci capita e inquadrarlo all’interno di quello che noi abbiamo identificato come il nostro perimetro di valori.

Il terzo bisogno che la narrazione deve soddisfare per poter generare senso è quella dell’“efficacia”. Il bisogno di leggere le nostre azioni come capaci di avere un impatto e generare un cambiamento. L’autodeterminazione ed il senso del controllo – che usiamo per ritardare il cambiamento – sono parti integranti di questa funzione generatrice di senso. Niente può togliere significato e motivazione alle nostre azioni quanto la percezione o la consapevolezza dell’impossibilità di cambiare le cose.

L’ultimo bisogno fa riferimento all’idea di “valore di sé”. Ci è necessario trovare ragioni per descriverci come degni di valore e apprezzamento, agli occhi degli altri, ma anche ai nostri. Il nostro racconto deve farci sentire non soli apprezzati, ma anche apprezzabili.

Solo quando la costruzione di senso attraverso la narrazione riesce a rispondere a questi bisogni fondamentali, allora riusciamo ad attribuire senso all’esistenza, anche e soprattutto a quelle fasi difficili connotate da scelte travagliate, e in quelle in cui dobbiamo rileggere una fase di crisi per trasformarla in un’opportunità di ripartenza.

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