Quando ci sentiamo sicuri delle nostre competenze, forti nelle nostre abilità, ci fermiamo. E invertiamo inevitabilmente la rotta della nostra crescita.
La leadership fa del continuo ri-generarsi il suo punto di forza. La leadership ha infatti consapevolezza della limitatezza del suo sapere acquisito rispetto alla sommatoria di conoscenze che servono per costruire rotte di futuro.
La capacità di dis-apprendere (https://cleolicalzi.it/2021/01/04/imparare-a-disapprendere-2/) dipende proprio dalle risposte che ci diamo rispetto alle nostre scelte di ignoranza, alle domande che non ci facciamo per restare ben ancorati nelle nostre comfort zone.
Ed invece la crescita ha bisogno di domande. Ma ha bisogno delle domande giuste. Domande su cui costruire futuro, e non domande che guardano al passato e che cercando di analizzare in modo anche ossessivo azioni e percorsi che non possono più essere modificati. Quei ‘perché’ che servono solo per farci rimanere fermi.
Dobbiamo invece farci le domande giuste e imparare ad ascoltare gli altri, per dare nuove prospettive alle nostre scelte.
Ascoltare l’altro vuol dire riconoscere di non sapere ‘abbastanza’, essere consapevole delle proprie incertezze, dei propri dubbi e riconoscere che la complessità del divenire va affrontata non dando mai per finito il proprio processo di crescita.
<Sapere di non sapere>, come diceva Socrate, significa sapere di non sapere <abbastanza>. Solo così ci apriamo al cambiamento. ( https://cleolicalzi.it/2021/10/20/so-di-non-sapere-tutto-la-ssaggezza-della-leadership/)
Questa forma consapevole di ‘ignoranza’ è una scelta che ci mette su una strada fertile in cui ci liberiamo di tutti quei pensieri, atteggiamenti, abitudini che non ci permettono di crescere. In cui alleggeriamo il nostro bagaglio di conoscenza.
Per crescere serve cominciare a osservare, ad ascoltare, a leggere le cose con nuovi filtri di sapere. Serve lavorare sulla fiducia perché è proprio la fiducia – l’affidarsi al sapere di altri – che costruisce ponti verso nuovi saperi.
Chiudersi nella ‘finitezza’ del proprio sapere, invece blocca il flusso di creatività ed attiva i sensori dell’autosabotaggio perché mette in continua sfida con sé stessi in un circolo vizioso che autolimita. (https://cleolicalzi.it/2021/05/20/il-nemico-che-ce-in-noi/)
Impariamo allora a perdere – ma consapevolmente – qualcuno dei nostri riferimenti, quelli che sono stati superati dal divenire, che sono stati ‘consumati’ dalle scelte fatte e dalle cose accaduta.
Ed ‘indossiamo’ nuova conoscenza: riappropriamoci di un nuovo stile se necessario, mettendo in discussione – se serve – chi siamo e chi siamo stati. Per fare spazio al <chi saremo>.
Nel rinunciare alla certezza del sapere, mettiamo in gioco il nostro imperfezionismo, che è la nostra parte più autentica quella in cui si innesta la forza generativa della crescita. (https://cleolicalzi.it/2022/01/17/encanto-la-forza-dellimperfezione/)
Sapere di non sapere sviluppa il protagonismo delle scelte. Innesca in noi invece la voglia di cambiare, il desiderio di essere parte attiva rispetto alla nostra crescita, riconoscendo che vi è davanti a noi un cammino di crescita da percorrere, ed assumendoci la nostra parte di responsabilità nel cambiamento.