Il pianoforte segreto è un libro che racconta la storia della pianista cinese Zhu Xiao-Mei. Iscritta al conservatorio di Pechino, Zhu subisce la rivoluzione di Mao, durante la quale è vietato suonare i pezzi dei compositori occidentali.
Zhu è quindi costretta, suo malgrado, in uno spazio ristretto, dove deve applicarsi non a ciò che sente più vicino a lei e che può farle venir fuori il talento, quanto a ciò che <da altri> viene stabilito essere il suo percorso.
Ancora undicenne deve affrontare un esame di musica nella sua scuola. E si era sentita <inadeguata> e scoraggiata per la prova che <subiva> ma in cui non si sentiva libera di esprimere il proprio talento, non si era sentita libera di farlo con la musica che meglio le permettesse di esprimersi.
E per difendersi da chi non le permetteva di generare il suo talento aveva avanzato la scusa di avere le mani troppo piccole. Fu ‘scartata’ dalla giuria per questa sua imperfezione. Tutti tranne uno che prendendo la parola disse: <Cari colleghi, scusatemi, ma non sono d’accordo con voi. Trovo che la ragazza suoni molto bene e che soprattutto trasmetta qualcosa al di là delle note. Lasciamola suonare>.
Grazie a quell’intervento Zhu superò il suo primo esame ed entrò in accademia, dove incontrò il giurato Pan, da quel momento diventato il suo maestro che le disse <Ogni cosa ha due lati: uno positivo e uno negativo. Certo, hai le mani piccole e questo non ti faciliterà la vita in alcuni brani. Ma le mani piccole sono più veloci. Farai meraviglie con alcuni repertori. Vedrai, il negativo si dimostrerà positivo, come il positivo, a sua volta, può dimostrarsi negativo. Ho conosciuto un sacco di allievi che, poiché avevano mani grandi, non si sforzavano di lavorare. Una sfortuna, per loro>.
Il Maestro Pan aveva messo Zhu davanti al proprio imperfezionismo, aprendo il varco da cui farle generare il suo talento. Le aveva <aperto un mondo>.
Quel piccolo varco verso il mondo della consapevolezza spinse infatti Zhu a perseverare nei suoi studi, sino a lasciare il suo paese per trasferirsi a Parigi, dove finalmente libera di esprimersi con le note che meglio rispecchiavano la sua autenticità, sarebbe diventata una delle migliori interpreti al mondo delle difficilissime variazioni Goldberg di Bach.
Pan aveva aperto il mondo di Zhu, perché da lì potesse venir fuori il suo talento. La aveva <educata> a nutrire il proprio talento.
Educare ovvero <ex ducere>, tirare fuori il talento, il suo grado di libertà, aiutarlo a tracciare la sua strada in modo consapevole. Fornire gli strumenti per costruire la sua libertà di espressione.
Educare ha a che fare con la libertà dell’essere, con il diritto imprescindibile di ognuno di essere sé stesso, di esprimere sé stesso, di compiere il proprio percorso.
La leadership generativa non costruisce la via, ma indica la direzione dando gli strumenti per costruire un cammino che generi il talento del gruppo, che è qualcosa di molto di più del talento dei singoli.
Educare è allora <aiutare a generare>, ovvero svegliare il maestro interiore, quello straordinario che è in ciascuno di noi, e che spesso cresce proprio quando scopriamo la forza del nostro imperfezionismo.
Educare non è in-struire, cioè mettere dentro uno spazio vuoto nozioni necessarie solo ad affrontare delle singole prove. E’ invece mettere l’altro in condizione di sviluppare nuove consapevolezze, renderlo capace di scoprire dentro di sé ciò che serve al suo pieno sviluppo. Avviarlo alla sua strada.
La leadership allena all’autonomia, non a superare la singola prova.
Se così non fosse sarebbe come stabilire un limite alla crescita, partire dall’assunto che l’allievo non possa ‘superare il maestro’. Il bello dell’educare all’autonomia è proprio questo: rendere possibile generare conoscenza e talenti. Rendere possibile oltre ciò che l’educatore stesso vede.
Solo così le dita piccole possono diventare futuro aperto, perché saranno, se la ragazza le sentirà nella loro eccezionalità, l’occasione irripetibile per una maggiore maestria. Zhu aveva solo ostacoli davanti a sé, dalla dittatura che le imponeva lo spartito alla morfologia delle sua mani, ma trovo sulla sua strada un educatore capace di insegnarle a vedere oltre e a credere in quella nota unica che suona l’imperfezionismo.