Il PNRR, acronimo oramai entrato nel nostro gergo quotidiano, indica il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza varato dal Governo in attuazione dello strumento del Next Generation.
Ma la parola Resilienza non deve trarci in inganno.
La resilienza ci porta infatti a restare come siamo e come siamo è di tutta evidenza che non ha funzionato: non abbiamo saputo spendere bene i fondi europei, non abbiamo riformato la pubblica amministrazione, non abbiamo risolto i divari né quelli territoriali né quelli di genere né quelli generazionali che sono anzi cresciuti.
Non abbiamo rigenerato in competenze il capitale umano della pubblica Amministrazione, non abbiamo semplificato i processi, non abbiamo riformato il sistema della giustizia, non abbiamo rivisto l’ordinamento universitario.
Non abbiamo risolto il problema della dispersione scolastica, non abbiamo trovato una soluzione alla mancanza di servizi essenziali che rendono metà del paese cittadini di serie B.
Come eravamo prima della pandemia è ciò che ci ha resi fragili davanti ad un evento imprevisto come la pandemia che ha fermato l’economia ed aumentato i divari.
Ante pandemia non abbiamo saputo agire davanti a quelle parole che ci sembravano così lontane come transizione ecologica e transizione digitale, tanto che c’è stato bisogno che Greta Thumberg ci riportasse all’attenzione che stavamo consumando inerti il pianeta.
Il PNRR è il pilastro di una strategia europea molto più grande, che non sarebbe stata avviata senza la pandemia e ha rivelato la straordinarietà di una Europa che è essa stessa cambiata, perché ante pandemia a Strasburgo la parola d’ordine era rispetto del Patto di Stabilità e si ragionava solo in termini di limiti agli sforamenti di bilancio e invece adesso c’è un investimento europeo di dimensioni epocali ed una scommessa forte sui territori, sulla loro capacità di ‘rigenerarsi’. Partendo proprio dalle loro fragilità.
Alla parola resilienza preferisco quindi la parola ‘cambiamento’. O meglio ‘resilienza dinamica’ (https://cleolicalzi.it/2021/10/13/3334/).
Resisto non per rimanere dove ero, ma resisto lavorando sulle criticità per non ricadere più negli errori passati. Per costruire davvero i pilastri della next generation.
Il PNRR ci invita a cambiare e a mettere in atto quelle riforme necessarie. Spostando l’obiettivo oltre la dimensione locale, ma guardando a costruire la next generation.
Allora più che di ‘resilienza’, termine che richiama il resistere per tornare alla situazione di partenza (atteso che i divari esistevano già prima dello tsunami pandemico), dovremmo chiamarlo Piano di Cambiamento. Ed usare l’occasione del PNRR per fare davvero un cambio di passo.
Il tema ancor prima che di merito è di metodo. Cambiamento significa infatti presa di coscienza dei motivi per cui segniamo così gradi divari e consequenziale assunzione di responsabilità (nelle scelte e nelle azioni) e capacità di declinare correttamente le riforme necessarie.
La sfida allora non è nel declinare le proposte ma come declinarle e quali scelte fare a monte. La politica dovrebbe proprio assumersi il ruolo di fare le scelte necessarie. E farle per tempo.